Sincretismo culturale, religioso e gastronomico e altre notizie

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Cara amica, caro amico,
Dopo una decina di anni di esperienza in cucina, a venticinque anni decisi di lasciare l’Occidente e di esplorare l’Estremo Oriente.
Ero mosso da diverse motivazioni. Avevo avuto la fortuna di lavorare in alcuni tra i migliori ristoranti del tempo. In Europa si respirava aria di rivoluzione, in Francia aveva preso luce un movimento, chiamato “Nouvelle Cuisine”, che è stato l’impulso per un cambiamento radicale. Da una cucina nelle idee, rimasta molto simile a quella dei secoli precedenti, si era passati a una cucina espressiva plasmata dai suoi autori. Nomi diventati illustri che sono passati alla storia come Paul Bocuse, Michel Guérard, I fratelli Troisgros, in Italia Gualtiero Marchesi.
Le rivoluzioni sono double face, da una parte portano rinnovamento sacrificando però parte delle tradizioni, a tratti magari obsolete, ma che hanno un loro perché.
La cucina precedente riproduceva delle ricette codificate con l’esperienza di secoli, la bravura del cuoco si distingueva per la sua capacità di realizzarle rimanendo il più vicino possibile alla loro matrice.
Nel rinnovamento tutto era messo in discussione e i ristoranti creavano le loro, o meglio i “maître à penser” stabilivano nuove regole. Ad esempio alleggerendo i piatti da grassi, semplificando le salse, concettualizzando le preparazioni. Molti altri, dopo aver gettato alle ortiche quello che facevano fino a ieri, copiavano. Succedeva ieri, come raccontato nel mio scritto precedente “venticalogo della cucina concreta” e succede anche oggi in tante realtà con per fortuna le dovute eccezioni.
Alla fine i ristoranti si assomigliavano tutti, nella forma e nel contenuto. Stessi antipasti e piatti di consistenza, stesse salse che l’industria si è affrettata a riprodurre e lanciare sul mercato, persino stesso modo di impiattare. Un piccolo inciso, al Joia in questi trent’anni ho sempre cercato di uscire indenne dalle mode che, inesorabili, si sono susseguite.
Alla mia di allora giovane età, una volta appresa l’arte della cucina dai migliori rappresentanti dell’epoca, desideravo uscire da quella che sentivo era per me una gabbia, dorata ma pur sempre gabbia.
Stavo per diventare vegetariano, uno stile di vita presente in qualche famiglia e in pochissimi ascetici ristoranti. Il mondo vegetale era quasi inesistente nella cucina gourmet che si celebrava a suon di filetti e di fegati di varia origine.
Un’altra motivazione, la più importante, da quando mi sono reso conto di pensare, sono stato ricercatore della Verità. Partecipando a incontri, divorando libri di teologia e di filosofia, mi piaceva moltissimo perdermi in infuocate discussioni con i miei coetanei, a quel tempo non ancora disillusi dall’inesorabile intercedere della vita. Il quale viaggio, ognuno sa, se preso per il verso giusto è affascinante ma se subito, seguendo i dettami di quella parte della società omologante, rischia di diventare mera biografia scandita dagli anni trascorsi, nella speranza di non invecchiare mai, nell’illusione che altri possano scegliere al nostro posto.
La maggior parte dei figli dei fiori erano rientrati nei ranghi, non volevo finire come loro.
Da giovani i doveri e quindi i timori sono poco presenti, il corpo e la mente funzionano a dovere, la vita piena di prospettive è davanti.
Mi sentivo molto fortunato, pensavo di approfondire un dato argomento, mi chiudevo in biblioteca fino a quando non l’avevo svelato – era molto più affascinante la ricerca che non oggi internet dove ogni conquista è troppo facile e dai risultati dubbi. Desideravo nuova esperienza in un ristorante o in un luogo diverso, mi attivavo e cambiavo registro. La compagnia che frequentavo mi stava stretta, mi aprivo a nuovi incontri.
Ad un certo punto però, vittima forse della mia esuberanza, mi resi conto che ciò che sperimentavo era delimitato da un contesto culturale preciso. Le risposte che ricevevo non mi soddisfacevano. I giornali mi sembrava che mancassero di oggettività, veicolando le informazioni per compiacere a un politically correct. Non dico tutto fino in fondo così nessuno si mette in discussione e tutti mi comprano. Oggi è ancora peggio, troppi sono plasmati dai dictat di interessi di varia origine, nessuna virtuosa.
La teologia era colma di dogmi non dimostrabili, la filosofia utilitaristica, la cucina autoreferenziale.
Progettai così una fuga verso lidi che speravo potessero rispondere alle mie aspettative. Aprire la mente, spegnere la sete della conoscenza, sbloccare la mia creatività, scoprire la cultura vegetariana alle sue origini, in paesi dove è presente e codificata da quasi 10.000 anni.
Intuivo che percorrere all’inverso la “Via della seta”, seguendo le orme di Marco Polo e di Matteo Ricci, era la decisione migliore.
Per due anni mi preparai, leggendo i loro testi e quelli di sinologi più accreditati (Marcel Granet ad esempio). Mi appassionai di dietetica cinese, iniziai a frequentare i pochi ristoranti cinesi e giapponesi dell’epoca.
Una nota iniziale, la storia, come l’avevo appresa a scuola, prendeva in considerazione luoghi diversi dall’Occidente in modo sommario. Le notizie che trapelavano erano poche, dalla Cina la cosiddetta rivoluzione culturale, dal Giappone gli orologi Seiko, lo Judo e le moto Kawasaki, mito della mia generazione.
Elena, un’amica sinologa che aveva vissuto per anni in Cina, mi portava notizie diverse. Incredibili conoscenze ancestrali in grado di garantire serenità e lunga vita. Una scienza medica più avanzata della nostra e naturalmente di piatti roboanti.
Così, con la testa ben farcita di nozioni, con molte aspettative e dopo le consuete cose da risolvere, dopo aver sorvolato l’Afganistan su un aereo traballante che batteva non mi ricordo più quale bandiera, non immaginando che nulla sarebbe più stato come prima, sono sbarcato all’aeroporto di Shanghai.
Ho recuperato i bagagli che erano stati scaricati in mezzo alla pista. Odore di Cherosene, un autunno freddo e un taxista ladro che ha subito cercato di battezzarmi, chiedendomi per il tragitto un prezzo spropositato.
Nei quasi tre anni di permanenza in Asia, a studiare, mangiare, lavorare e assorbire quelle culture, con l’Occidente comunicavo come una volta con lettere a parenti e amici che giungevano qualche mese dopo. Telefonare era troppo costoso. Sono partito con l’equivalente di 6000 euro e sono ritornato con la stessa cifra, fare ogni cosa era davvero molto economico.
La città, non ancora mastodontica come l’attuale, mi accolse con un fiume di biciclette guidate da uomini e donne tutti vestiti allo stesso modo, divise blu unisex, un foulard stile scout e un cappello con visiera dello stesso colore, lo stile del film Orwell 1984.
Il fiume giallo sembrava dipinto tanto era di quel colore, sicuramente non lo era per qualche alga, l’aria era così spessa da poterla tagliare con il coltello. Forse avevo sbagliato tutto, come avrei fatto a cavare qualche cosa da quel mondo omologato e inquinato?
Mi ero organizzato bene però per non fermarmi alle apparenze, mi ero iscritto a un corso intensivo di lingua mandarina e a un altro di cultura generale. L’unico modo per capire una realtà è conoscere le persone, riuscire a comunicare con loro è indispensabile. La cultura spiegata dai diretti interessati, e non tradotta in modo romanzato cercando di spacciarla come realtà, è tutt’altra cosa.
Ho velocemente imparato come ogni paese in Oriente sia stato sotto il dominio dei colonialisti che non facevano altro che depredarne le ricchezze, mascherando l’operazione come un modo di portare a dei selvaggi la vera cultura.
Si cercava di ottenere la sottomissione della popolazione sradicando la cultura del luogo screditandola, si scatenavano le etnie, in pace fino ad allora, una contro l’altra, si imponevano commerci e coltivazioni di merce come l’oppio con il fine di minare alla base il tessuto sociale. Le nefandezze perpetrate sono innumerevoli.
Ciò non solo è esecrabile ma è anche stupido. Le civiltà in quei luoghi, quelle che conosco meglio che sono la cinese e l’indiana, hanno un’ampiezza affascinante.
Quando in quei paesi migliaia di anni fa nasceva l’agopuntura, Confucio aveva scritto i suoi trattati, c’erano grandi conoscenze astronomiche, si scrivevano ideogrammi che per molti versi sono superiori al nostro alfabeto mentre dalle mie parti correvamo dietro ai mammut nella speranza di acchiapparli, non si conosceva l’agricoltura e men che meno la scrittura. In Cina avevano già inventato il tofu e la pasta e i loro banchetti erano così raffinati da far impallidire Vatel, il nostro stile gastronomico era invece simile a quello delle tavolate di Obelix.
Senza voler parlare delle arti introspettive, quanto descritto da Patanjali, che raccoglie le testimonianze dei millenni precedenti, introduce all’arte dello Yoga. In grado di far sviluppare ogni facoltà e di raggiungere ogni obbiettivo che, naturalmente, non ha nulla a che fare con le navi di oro depredato. Il punto di partenza del viaggio è l’individuazione del Se, codificato per la prima volta in Occidente dal grande Jung agli inizi del ‘900.
Nel viandante si annida sempre un pericolo: giudicare ciò che si incontra con i propri parametri, considerandoli migliori di quello degli altri. Mettere il reggiseno alle indios delle amazzoni e cercare di convincere i giapponesi che la cultura del cibo sono i burger, è un atto di vera ottusità. È come se incontrassimo Gesù e cercassimo di convincerlo che le sue parabole sono inconsistenti rispetto al pensiero materialista.
L’università era abitata da molte persone di cultura occidentale ma anche proveniente dalla Russia, dal Giappone e dai paesi del Medio Oriente. Che si distinguevano in quelli che si erano portati il pomodoro, la pasta e il parmigiano da casa, riproducevano “Little Italy” nelle loro stanze e guardavano con occhi stralunati le stranezze dei cinesi.
Un’altra buona fetta invece che fortunatamente si era immersa a capofitto nella lingua, nel luogo, nelle persone, nella cultura.
Con loro la mattina prima dell’alba andavo a praticare il Tai Chi, che mi ha fatto scoprire le caratteristiche dell’energia e di come questa può essere plasmata e veicolata.
Le conoscenze acquisite vanno messe in pratica e si raccolgono rispettando chi ne sa di più. Per questa mia predisposizione, mi fecero scoprire che dietro il campo di pratica ce n’era un altro per discepoli avanzati dove si mettevano a confronto tecniche diverse e dove ho testimoniato facoltà mirabolanti. La sostanza del Tai Chi è il Qi Gong, lo yoga come concepito in quel paese.
Man mano che il mio livello di comprensione della lingua migliorava, mi addentravo sempre più nella cultura del luogo. Sotto la scorza di una realtà apparentemente appiattita ho scoperto molti segreti che mi hanno arricchito e che spiego nel libro che ho scritto dal titolo “La cucina di villa Suiyuan”.
Così è successo con il Giappone, dove per un anno ho insegnato cucina italiana e cucina francese alla scuola Tsuji, e in India nella quale la potenza dell’ascesi è così grande da non poter essere descritta a parole.
Che cosa è successo in me? Sono stato plagiato da quelle culture? No, quelle hanno arricchito la mia. Ho implementato le mie facoltà che sono riduttive se limitate alla mente. Quella può essere allenata come andare in palestra, i matematici, gli scienziati, i musicisti, gli studenti brillanti, sanno bene come l’intelligenza è oltre, i libri sono il primo tassello da dove proviene tutto, il resto è molto altro.
Una nota interessante, in India la dieta ideale universalmente riconosciuta è quella vegetariana, lo stesso dicasi per i taoisti e per la cultura buddista Zen. Questa è considerata il punto di partenza per coltivare armonia e felicità. Così anche se una persona non l’abbraccia, si prefigge di farlo nella sua età della saggezza. Lo stesso sta accadendo nel nostro Occidente, questa presa di coscienza cambierà in meglio la società.
Nelle mie esplorazioni ho imparato a distinguere le caratteristiche delle persone che sono intrise della cultura che le ha formate. Ognuna di queste ha il diritto di essere in quel modo e ognuno ha diritto di affermare il proprio credo e il proprio stile di vita. Cercare di imporne un altro sempre nasconde ben altro, come nei sopracitati vecchi ma anche nuovi colonialismi.
La propaganda maschera la verità e lede la dignità delle persone. Mi aspetterei dai governi del mondo maggiore onestà intellettuale. Non affermando, come è sempre successo, che si vanno a liberare popoli oppressi o inferiori, ma che si tratta di una conquista per i propri interessi.
I valori di riferimento sono altri e ci sono stati spiegati dalle guide della storia, prima di giudicare devo cercare di “togliere la trave dal mio occhio”, considerare: “alzi la mano chi ha scagliato la prima pietra”. Infine dovrei fare tesoro dell’evidenza che “è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che non un ricco giunga al regno dei cieli”. Ognuno a suo modo, i valori eterni sono in ogni cultura, che si tratti dei pigmei dell’Africa come degli asceti residenti sull’Himalaya. Il senso della vita è scoprirli e farli propri, solo in tal modo è possibile comprendere e accettare il prossimo.
Avendoli colti cerco di metterli in pratica con la cucina che proponiamo al Joia.
Ciò che scegliamo di mangiare è la messa in pratica di che cosa pensiamo e di chi siamo.
La mia tesi è che le idee a volte sono difficili da condividere, attraverso il proprio cibo invece è possibile avvicinarsi all’altro e raccontarsi con il proprio linguaggio.
La mia fortuna in questo senso è aver scelto la cucina vegetariana che mette d’accordo e può essere mangiata da ogni filosofia o religione che sia.
Per enfatizzare il valore del sincretismo, nel mio caso gastronomico ma che corrisponde a quello culturale, filosofico e religioso, all’interno dei piatti pratichiamo l’esperanto. Facendo uso di tecniche, gusti, abbinamenti che possono arrivare da lontano. Molto apprezzati in questo presente caratterizzato, per chi lo sa leggere, da un grande scambio di conoscenze.
Nella certezza che ciò che è buono – nel rispetto del creato, di tutte le creature e del Creatore – è giusto e che ciò che è giusto è buono.Cordiali saluti

Suo Pietro Leemann

Notizie in breve

Allo scoccare dell’estate e con questa è arrivato il caldo e le sere milanesi si sono animate di persone a passeggio, abbiamo iniziato il nuovo menu. All’insegna della freschezza nella temperatura, nei gusti e nei colori. Il sincretismo descritto sopra felicemente prosegue, a tratti esploriamo il mio amato Oriente, strizziamo l’occhio all’Africa e al Sud America ma anche ai vari luoghi della cucina mediterranea. Tornano il carpaccio di anguria, Porto del sole, la nostra melanzana laccata, Pomo d’oro, il piatto preso in prestito da Alain Passard ed elaborato a nostro modo.
Nascono “Tempio nel tempo”, una evoluzione della caponata, una nuova versione di “Fratello sole” e una pappardella servita fresca con un dashi veg e un hummus di edamame. Vi aspettiamo!

Il Joia si riposerà e noi con lui, dal 12 al 29 agosto.
Spero che l’estate premi ognuno di noi e di voi di felicità e consapevolezza.