Cucina politica. Il linguaggio del cibo fra pratiche sociali e rappresentazioni ideologiche, a cura di Massimo Montanari, Edizioni Laterza, Bari-Roma, 2020.

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Cibo e politica, quale il legame?

Il cibo è una forma di linguaggio capace da sempre di veicolare messaggi e idee, diviene comunicazione politica quando non si limita a descrivere il reale, ma contribuisce a crearlo. La dimensione politica del cibo si esplica da un lato come segno di appartenenza a una comunità al cui centro c’è il bene comune in una dimensione sociale, relazionale e collettiva. Dall’altro come discorso di narrazioni collettive ed espressioni culturali che si modificano nel tempo nei diversi contesti. Da sempre i pubblici poteri hanno messo in atto con il cibo azioni alimentari per gestire e definire il rapporto con i cittadini, in una sfera pubblica. Comunicare con il cibo è definire identità, cultura, territorio, religione, economia, etica e morale del comportamento.

Il volume Cucina politica è il risultato di un progetto di ricerca multidisciplinare che ha coinvolto studiosi italiani e stranieri: storici, antropologi, filosofi, semiologi e storici dell’arte. Il libro tratta di cibo e di cucina con uno sguardo ampio che risulta essere indispensabile per evidenziare le sorprendenti potenzialità della storia dell’alimentazione. Approcci diversi e complementari che restituiscono non solo il senso polivalente del termine “politica”, ma anche la complessità dei valori psicologici, culturali, simbolici, religiosi e immaginari che si associano al cibo.

Il libro curato dallo storico Massimo Montanari, accompagna il lettore in un viaggio affascinante: dai pranzi di Carlo Magno ai banchetti diplomatici del tardo Medioevo; dal confronto di modelli alimentari al tempo della conquista dell’America (con l’incontro-scontro fra colonizzatori e indigeni) alla cultura politica di Luigi XIV, considerato “padre e nutritore del popolo” in un modello di cura familiare e paternalistica. Il libro si inoltra anche nelle strategie di comunicazione alimentare della propaganda fascista e nella parabola storica della «dieta maoista», un’utopia rapidamente trasformatasi in dramma sociale. Temi ottocenteschi come il nazionalismo o di bruciante attualità come il sovranismo e il populismo, trovano nel volume la loro declinazione alimentare per le intime valenze emotive e culturali del cibo. Suggestive sono le riflessioni sulla dietetica antica considerata addirittura un’arte politica e strategica esplicitamente connessa alla moralità, in quanto serie di precetti comportamentali di autoregolazione per il cittadino. In ultimo il libro affronta la cucina come educazione politica ed estetica: politica nel senso ampio di apertura verso la dimensione sociale della co-abitazione; estetica nel senso originario di scienza della conoscenza sensibile che non è riducibile al solo apprendimento intellettuale. Quindi si apre una prospettiva illuminante: educazione estetica non solo e non più “del” cibo, ma educazione “con” il cibo per raggiungere un bene fisico e morale.