La dimensione dell’inconcepibile e altre notizie

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Cara amica, caro amico,
Nel mio ultimo scritto, descrizione di un affascinante viaggio a Vrindavana, ho raccontato di luoghi ed esperienze non usuali al mio occhio di occidentale.
Se poco attento l’apparenza avrebbe potuto distogliermi dalla dimensione che si cela oltre quella della materia. In quel luogo ciò che si vede, fatto di un brulichio di rumori, di odori, di povertà nel vivere e nel vestire, di caos al quale è difficile dare un senso, sembrerebbe fatto apposta per nascondere altro. Al contrario di come quando un abito di cattiva qualità è mascherato da un bel taglio e da colori sgargianti.
Il primo indizio che aiuta a rimanere vigili, la cittadina è il luogo più sacro dell’India.
Krishna, manifestazione plenaria di Dio riconosciuta da ogni corrente religiosa indiana, nasce in quel luogo nel 3227 a.C.
Il Signore Supremo, come enunciato della Bhagavad-Gita, discende di era in era per ristabilire i principi della religione, per annientare gli empi e per proteggere i Suoi devoti.
Durante il suo passaggio terreno compie prodigi inconcepibili per quegli umani che possiedono sensi e intelletto poco sviluppati.
Soprattutto si diverte da divino infante a fare dispetti alla Sua santa madre. Durante il giorno accompagna le mucche al pascolo, giocando con loro e con i suoi compagni trascendentali. Nell’adolescenza canta e danza in estasi con le Gopi, Sue divine amanti.
Il 3102 a.C. è l’anno della fine della Sua vita terrena, corrisponde al passaggio dall’era precedente, Dvaparara Yuga, a quella attuale, Kali Yuga.
Vrindavana nei millenni successivi cade nell’oblio e si trasforma in una foresta.
Attorno al 1500 d.C, in un periodo nel quale troppe persone erano diventate poco attente, dimenticandosi del senso evolutivo della vita, nasce un grande santo, considerato anch’Egli una manifestazione del Supremo. Al secolo Shri Krishna Caitanya.
Al Suo passaggio ogni coscienza è risvegliata, nei Suoi pellegrinaggi è seguito da folle che mano a mano si ingrandiscono a dismisura al suo passaggio. Nei suoi 48 anni di vita terrena ha numerosi discepoli, i Gosvami, così straordinari da creare importanti scuole discipliche tutt’ora esistenti.
Attraversando la foresta di Vrindavana Caitanya, riscoprendo i luoghi dei divertimenti di Krishna, cade in estasi. Incarica i Suoi Gosvami di stabilirsi in quei luoghi per farli rivivere.
Erano mistici straordinari, per dare l’idea è come se San Francesco, San Tommaso, San Paolo e Dante avessero deciso di stabilirsi in un unico luogo.
Ognuno di loro fonda un tempio, attorno a questi i loro discepoli ne fondano altri e la foresta, nei secoli, si trasforma nella cittadina odierna con i suoi 5000 templi e nella quelle tutti i movimenti induisti sono rappresentati.
Ogni indiano vorrebbe visitarla, ogni sadhu e guru lasciare il corpo in quel luogo. Sono comuni gli incontri con santi uomini e donne, più o meno abbigliati, che fanno il parikrama (pellegrinaggio attorno a un luogo sacro). Giorno e notte i templi sono animati da canti, in ogni dove si incrociano processioni a celebrare il tale evento.
Il luogo è così importante da considerare ogni suo abitante, dai santi ai mercanti, alle scimmie, mucche, pappagalli e cani, esseri speciali e da rispettare in ogni modo.
Ogni incontro ha un senso preciso per il viandante in visita, è opportuno quindi aguzzare la vista e aprire le orecchie, ed è ciò che ho cercato di fare.
Il contesto descritto ha già dell’extra ordinario, di solito quando si sente un racconto di un evento che esce dai parametri usuali la mente moderna razionalizza e inizia a considerarlo facente parte del mito. Per andare oltre aiuta l’esperienza concreta, vivendo luoghi che trasudano di trascendenza e portare la riflessione a livello profondo.
Il preambolo è stata la visita alla Yamuna, il fiume sacro nel quale Krishna si bagnava divertendosi con i suoi compagni trascendentali. Maestosamente scorre verso il Gange, soffermandomi con lo sguardo mi sono sentito quasi ipnotizzato, dal suo odore dolciastro, dal suo colore argilla e dall’orizzonte senza confini.
Vi ho immerso un braccio, una potenza benefica mi ha pervaso. Lo stesso dal quale sto scrivendo sul quale è rimasta quella sensazione che a allora mi da rinnovata energia ogni giorno. Sul gat (Il molo) siamo stati accolti da un nugolo di ragazzine e signore alla ricerca di qualche spicciolo. In cambio di una candela o dei fiori da offrire al fiume o di un segno sulla fronte fatta con il tilaka, l’argilla sacra. Ci trovavamo davanti al tempio di Shiva, guardiano di Vrindavana e della Yamuna.
Shiva tentò di vestirsi da gopi per avere l’opportunità di danzare con Krishna. Lui gli fece capire che non era opportuno, Gli assegnò invece il ruolo di guardiano del luogo, più confacente alla Sua personalità; è al suo tempio che bisogna recarsi per ricevere il permesso di accedere alla santa città.
Il simbolo stampato sulla nostra fronte era il simbolo che lo rappresenta.
Senza indugio e ignorando la mente razionale, accompagnato da Vanessa, la figlia quattordicenne di Rachele, siamo entrati nel semplice ma accogliente tempio. Ho cercato di comportarmi al mio meglio, prostrandomi con rispetto davanti alle murti, statue e immagini che rappresentano le divinità, è ben presente in me la sensazione del contatto del mio petto con il pavimento di pietra.
I sacerdoti presenti, pur con affetto, ci hanno marzianamente squadrati. Una volta rotto il ghiaccio, con gentilezza ci hanno invitati a entrare in un antro protetto da una tenda. Vi stava seduto in meditazione colui che ho immaginato fosse il loro guru. In silenzio ci siamo seduti davanti a lui, dopo qualche minuto ha aperto gli occhi sorridendoci.
Affabilmente ha chiesto di noi, a Vanessa la sua età e che cosa faceva in India, a me quale pratica meditativa svolgevo e a quale scuola disciplica appartenevo. Il cuore della mia pratica è il Maha Mantra, che era anche il suo. Ha chiuso gli occhi recitandolo, con un’intensità che raramente ho incontrato. Lacrime hanno iniziato a scorrere sulla sua barba bianca, quando è tornato a guardarci il suo sguardo era cambiato, testimone di un’altra dimensione.
Di nuovo con noi mi ha rivelato un segreto da applicare durante la pratica che ho serbato e che arricchisce ogni mia mattina. Dopo un tempo non definibile ci siamo salutati come vecchi amici, avevamo condiviso un momento importante, di quelli che escono dal tempo e dallo spazio e che uniscono gli esseri.
Un giorno seguente con il gruppo di pellegrini abbiamo visitato la collina di Govardana, per intenderci quella che Krishna infante tenne sollevata con un dito per una settimana per proteggere i suoi compagni da un diluvio generato da Indra. Tutta la sua superficie di 22 km quadrati è considerata un tempio. Per salirla ci si tolgono le scarpe, comodi sentieri in terra battuta portano ai vari templi.
Noi no, volevamo sentirci liberi e fare di testa nostra. Così alla chetichella ci siamo incamminati verso il suo culmine. Dopo i mesi che sono trascorsi finalmente sono riuscito a togliere l’ultima spina che si era conficcata nel mio piede, essendo tutta l’area ben ricoperta di rovi.
Quando si visita un luogo sacro è opportuno recitare delle preghiere, queste fanno calare nel suo rispetto. Ancora meglio contestualizzare raccontandone le caratteristiche o leggendo un testo che ne parla, in quel caso la descrizione delle attività di Krishna.
Impacciati e sotto un sole cocente ci siamo raggruppati sedendoci su scomodi sassi, chi più attento, chi sonnecchiando, chi guardandosi in giro. Un passaggio descrive come in un determinato momento il luogo fosse stato infestato da serpenti, allora legato a delle attività inopportune commesse.
Nell’istante della lettura del passaggio buttando l’occhio, mi sono accorto che nella terra vicina ai miei piedi si rotolava un bel serpente, color verde smeraldo. Con il cuore in gola e in buon ordine ci siamo alzati e saltellando sui sassi siamo ritornati sui nostri passi. Una casualità? No, una indicazione precisa, un fremito mi attraversa ancora la schiena pensandoci.
Spostarsi in India è sempre un’avventura, è necessario ben trattare con chi ci trasporta, considerando che la lingua ufficiale non è l’inglese e sperando di raggiungere la meta. Un altro giorno abbiamo noleggiato una barca a remi. Spostarsi sul fiume largo come il Nilo a forza di braccia non è evidente, il giovane che remava aveva braccia come tronchi, il timoniere con maestria guidava verso le correnti migliori. Un grosso pesce, doveva essere una carpa, ci ha seguito per un gran pezzo, languidamente spostandosi di qua e di là dall’imbarcazione.
La meta un tempio dove qualche anno fa aveva lasciato questa dimensione un santo vissuto fino a trecento (300) anni di età. Ancora in carne e ossa alcuni anni orsono era stato intervistato dalla mia guida, Shriman Matsyavatar Prabhu, che gli chiese: “Che cosa puoi dire agli ascoltatori di Radio Krishna Centrale?”
Risposta: “Sì, Krishna è centrale! Cantate Radhe-Shyam per sciogliere il cuore che in questa epoca è duro come la pietra”.
Dewrababa, avvolto da una pelle vecchia come lui, viveva su una palafitta dalla quale gli ultimi decenni non usciva mai. Era ben accudito dai suoi numerosi discepoli, ho incontrato uno di loro, doveva essere sulla settantina. Mi ha raccontato come già suo padre, prima suo nonno e ancor prima il suo bisnonno fossero già suoi discepoli.
Era consuetudine per i governanti dell’India venire a chiedere consigli al grande saggio, attorno a lui si radunava un Kumbh Mela, incontro tra saggi e ricercatori spirituali.
Il luogo trasuda di sacralità, mi rimane la sensazione sotto i piedi della morbida sabbia e di un odore dolce e pungente mai sentito prima. Una porta per la dimensione trascendente?
Aprendosi a questa, ancor più in tale luogo, il senso dell’agire prende forma e le priorità nel viaggio della vita si chiariscono.
Ogni Gosvami, discepolo di Shri Krishna Caitanya, aveva caratteristiche spirituali diverse. Lokanath Gosvami faceva una vita appartata e dedicava la sua giornata alla comunione con il Supremo; un fulgido esempio di devozione, non desiderava però accogliere discepoli.
È stato educativo osservare che il suo samadhi, luogo della sua sepoltura, era frequentato da persone con lo stesso gusto spirituale. Uomini e donne in religioso silenzio passavano per rendergli omaggio. Senza enfasi e sfarzi si soffermavano in contemplazione per tornare poi sui loro passi senza portare disturbo a nessuno. Un connubio straordinario di semplicità e intensità.
In quegli anni lì vicino si era trasferito Narottam dasa Takur, un poeta e cantore al quale si devono tra i più intensi inni del bhakti yoga, lo yoga dell’amore fidente.
Una persona pienamente realizzata, nella tradizione però ognuno deve scegliere un guru, per dare l’esempio così fecero persino Krishna e Shri Krishna Caitanya.
Quest’ultimo aveva già lasciato il corpo, dopo la sua dipartita era sua abitudine guidare i suoi discepoli apparendo nei loro sogni. Così apparve nel sogno del santo cantore dicendogli che avrebbe dovuto richiedere a Lokanath Gosvami di diventare suo discepolo.
Questi con enfasi gli esprime che non ne desidera e nonostante le ripetute insistenze di Narottam dasa Takur non cede dai suoi propositi. Questi non demorde, nel tentativo di convincerlo cerca i luoghi nella foresta dove il santo si raccoglie a meditare, facendoli trovare perfettamente puliti, spazzando le foglie, preparando del morbido muschio dove sedersi, dell’acqua fresca da bere.
Un gioco sottile tra due grandi personalità dal sapore unico, nei testi sacri si spiega come la realizzazione spirituale passi attraverso la qualità delle relazioni.
Lokanath si apposta per cogliere Narottam di sorpresa e lo osserva nella sua dedizione al compito di servirlo. Nonostante questo non cambia i suoi propositi. Infine Shri Krishna Caitanya, probabilmente esausto, appare nel sogno del potenziale maestro convincendolo a cambiare Idea.
Narottam dasa Takur rimarrà quale suo unico discepolo.
Le anime realizzate conoscono il giorno della loro dipartita, questi lascia questa dimensione immergendosi nella Yamuna e dissolvendosi in essa.
Cara amica, caro amico, mi riservo un’altra lettera per raccontare altre tre esperienze, una delle quali è stata il fulcro del mio pellegrinaggio.

Cordiali saluti
Suo Pietro Leemann

Notizie in breve

Abbiamo completato la progettazione del menu invernale. “Un sasso rotola” ha avuto grande successo, abbiamo pensato quindi di mantenerlo per un’altra stagione. È tornato “Elogio alla purezza” antipasto a base di carciofo dello scorso inverno che ha raccolto il piacere di tutti gli ospiti. Sul tema della purezza abbiamo fatto nascere altri piatti, come “Viaggio interiore”, una crema leggera di pastinaca con freschi contrasti, “Pas de Deux” un piatto dove si incontrano due straordinarie verdure invernali, il radicchio tardivo e l’indivia belga, “Dolce Stil Novo” un dessert a base di cioccolato e frutta esotica. L’aspetto con piacere!
Assieme ad Antonio ho messo a punto una degustazione di bevande non alcoliche. Spesso gli ospiti non hanno desiderio di pasteggiare con del vino o, come me il vino non lo bevono. L’acqua sarebbe un ottimo accompagnamento per lasciare libero il palato ad assaporare i piatti. D’altra parte il gioco di gusti può essere amplificato con altri abbinamenti e così abbiamo fatto.
Una degustazione dinamica fatta di infusi, succhi non dolci come la cotogna e il rabarbaro, il kefir che preparo io. Come abbinamento rivoluzionario ho messo anche a punto un fermentato delicatamente salato di sedano verde e semi di finocchio. Si è abituati ai soft drink dolci o agli zuccheri trasformati come il vino e le altre bevande alcoliche che sono in ogni caso glucidi trasformati. Una direzione completamente nuova.
Così come vedo un futuro dove sempre più persone diventeranno vegetariane o mangeranno meno proteine animali, lo stesso accadrà per gli alcolici. Un cambiamento epocale!
Scegliere dei buoni regalo per degustare la cucina del Joia è un pensiero sempre gradito. Chi lo farà per queste feste riceverà una lettera personalizzata da me, nella quale inserirò in modo poetico i fortunati destinatari e le caratteristiche dell’omaggio. Richiedete informazioni a Giovanni e Antonio!
Qualche settimana fa è uscita la nuova edizione della guida Michelin che ci ha confermato, dopo 26 anni, la stella rossa e quella verde. Ringrazio dirigenti e ispettori per riconoscere l’impegno profuso giorno dopo giorno nel mantenere una qualità impeccabile, l’indice di gradimento nei cari ospiti è molto vicino al 100%.
Una stella che a dire il vero mi sta un po’ stretta per quanto rappresentiamo a livello nazionale e internazionale. Joia essendo riconosciuto quale ristorante vegetariano migliore al mondo, anche a confronto di qualche realtà molto blasonata.
Una cucina la nostra coerente e sincera, preparata con ingredienti biologici che provengono da contadini amici. Trasformando in modo naturale e senza utilizzare additivi della chimica, purtroppo troppo presenti nella cucina contemporanea e che invito i preziosi colleghi ad abbandonare.
Una creatività unica la nostra che si distacca da molta omologazione presente in campo gastronomico.
Non da ultimo la nostra cucina è sostenuta da presupposti ambientali, etici, morali e verso la salute delle persone che da una sostanza tutta diversa al senso dei piatti e alla loro qualità, per nulla solo formale ma di sostanza.
D’altra parte la guida si basa su parametri soggettivi e non oggettivi come verrebbe da pensare e che sarebbe interessante indagare dal punto di vista storico.
Non occupandosi lei di etica e di cambiamento sociale, piuttosto di osservazione delle tendenze e del mantenimento di uno status a mio modo di vedere, a mia volta soggettivo, non necessariamente attuale.
Grandi complimenti e molto affetto ai cari colleghi premiati e anche a quelli “retrocessi”, l’impegno e il cuore profuso da ognuno per mantenere alto il senso del rito della buona tavola è immenso. Bravi tutti!
Per un malore intestinale sono stato ospite per un paio di giorni di un ospedale ticinese. Bella la relazione con medici e infermieri, sempre attenti ad ascoltare e a rispettare. Un lato virtuoso e al contempo impegnativo il loro. Solo qualche preoccupazione per alcuni giovani medici, loro invece molto rigidi nelle loro certezze, poco propensi alla gentilezza e all’ascolto.
La parte del cibo somministrato avrebbe la necessità di essere modernizzato, considerare dieta leggera prosciutto e formaggio non è esattamente corretto, nemmeno servire delle pere sciroppate che erano più zucchero che pere. Senza poi considerare il biologico, nemmeno lontanamente presente e la vitalità del cibo che sarebbe oltremodo indispensabile in quei luoghi. Un tema purtroppo troppo poco sfiorato, della serie tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.