Viaggio nel Chianti Classico

Home/Appunti di viaggio/tra Firenze e Siena | Viaggio nel Chianti Classico
Nel mese di luglio 2020, in un momento storico difficile e pieno di incertezze, dubbi e paure, decido di fare un breve viaggio che avevo programmato da tempo: visitare la zona del Chianti Classico. E prima di partire ho selezionato tre aziende di amici: Montevertine, Monteraponi e Castello di Monsanto.È fondamentale capire la distinzione tra Chianti Classico e gli altri Chianti, perché ancora oggi c’è molta confusione. Si pensa che dire o bere Chianti, Chianti Superiore, Chianti Colline Aretine, Chianti Colline Fiorentini, Chianti Colli Senesi, Chianti Colline Pisane, Chianti Montalbano, Chianti Montespertoli, Chianti Rufina sia uguale. Si ritiene che la differenza stia solo nel modo in cui ogni produttore immagina debba essere il suo vino, ma non è così.

Il Chianti Classico è una zona DOCG nobile e talentuosa compresa tra Firenze e Siena. Queste due città sono il confine di un territorio che si espande per 70.000 ettari, i comuni che ne fanno parte sono Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Greve in Chianti, Radda in Chianti e in parte quelli di Barberino Tavarnelle, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi e San Casciano in Val di Pesa.

Per molti anni il Chianti Classico non era preceduto dalla sua fama e dalla sua denominazione e questo, purtroppo, era dovuto a scelte ambigue da parte dei produttori. Inoltre i vigneti obsoleti, le scelte commerciali dubbie, la poca professionalità dei produttori facevano in modo che il potenziale qualitativo di questa zona rimanesse inespresso. Oggi, fortunatamente, il Chianti Classico non è più così in quanto le aziende hanno compreso che è necessario curarlo, esplorarlo e comprenderlo, sapendo che ogni anno, con l’aiuto del clima, potrà darti frutti differenti.
I produttori di Chianto Classico ormai sono consapevoli che il consumatore finale si è evoluto nelle sue conoscenze ed è sempre alla scoperta di nuove realtà di qualità, chi ama bere è ormai attento e ben informato, sa che in questa zona si può assaporare e comprare un vino di gran pregio come è il Chianti Classico. Questa evoluzione dei tempi ha spinto i produttori a combattere molto per avere una denominazione indipendente, ottenuta finalmente nel 1996. Tale risultato lo si deve al lavoro svolto in maniera compatta e coesa di tutti i vignaioli che, infatti, nel 2005 hanno deciso non solo di togliere dal disciplinare l’utilizzo delle uve a bacca bianca, ma hanno anche stabilito che per fregiarsi della denominazione “Chianti Classico”, il vino dovesse essere prodotto almeno per l’80% da uve Sangiovese, il restante 20% da vitigni autoctoni autorizzati o da uve internazionali a bacca rossa.
La denominazione è stata una meta molto importante perché finalmente si è fatta una zonazione del territorio, quindi una mappatura del territorio per individuare aree omogenee per clima, composizione del suolo, capacità produttiva dei vitigni e conseguenti caratteristiche del vino. Ciò ha comportato la possibilità di delineare dei vini ben precisi per caratteristiche e peculiarità, arrivando a considerare il Chianti Classico un vino di carattere, spesso non di semplice degustazione in quanto non un adulatore dei palati. È sapido, pieno, intenso, avvolgente e molto emozionale.

Dietro la denominazione Chianti Classico si trovano tante aziende vitivinicole dislocate in un territorio con diverse qualità, diverse esposizioni dei terreni e con altitudini differenti che variano dai 150 metri ai 650 metri. Si passa da dolci a ripide pendenze fino ad arrivare, in alcune zone come ad esempio a Lamole, a terrazzamenti. Anche la composizione del terreno varia: dal galestro ad argille arenarie o a ciottoli, e la cosa interessante è che tale varietà si rispecchia e ritrova nei differenti vini, ognuno con una personalità ben precisa capace di far affiorare differenti emozioni.

Non dimentichiamo che questo territorio comprende 70.000 ettari in un’unica denominazione, una terra che ha saputo preservare il bosco il cui valore è inestimabile perché permette di avere un ecosistema e un micro-clima unico. C’è solo un problema ed è che l’uva buona piace anche agli animali.

Decidere di visitare la zona del Chianti Classico è scegliere non solo di immergersi i meravigliosi vigneti, ma anche di conoscere una parte d’Italia che appare essersi arrestata nel tempo: borghi medievali, piccole cappelle, distese di boschi, piccoli pascoli e orti in mezzo alla Natura. È impossibile non riconnettersi con Madre Terra.

Montevertine
Alle 14 arrivo a Montevertine e trovo ad accogliermi Liviana e Martino, siamo a Radda in Chianti a 425 metri di altitudine e davanti ai miei occhi signoreggiano vigneti ben curati e tanto bosco. È un mirare che emoziona.

Scendo dalla macchina e subito Martino mi propone di andare a rilassarci sotto l’ampia chioma di un albero. Dopo essermi riposato un po’, curioso gli chiedo di raccontarmi la sua storia: Montevertine è stata acquistata nel 1967 dal padre Sergio Manetti, un industriale siderurgico che decise di comprare questa tenuta come casa per le vacanze. Col passare del tempo si innamora sempre più di quel pezzo di terra e così decide di ristrutturarlo.
Impianta 2 ettari di vigneto pensando di produrre del vino per sé e i suoi amici, in ultimo allestisce una parte della tenuta per una piccola cantina. La prima annata, il 1971, è discreta così manda qualche bottiglia al Vinitaly di Verona tramite la Camera di Commercio di Siena. Tale decisione si rivelò fondamentale per decidere di mettere in atto un importante cambiamento di vita: abbandonare definitivamente l’attività industriale e dedicarsi unicamente al vino, impiantando nuove vigne e realizzando una nuova cantina. In tutti questi anni papà Sergio è stato supportato dalla consulenza di Giulio Gambelli e dal fidato cantiniere Bruno Bini.

Dopo questa chiacchierata facciamo un giro nella vigna, Martino mi spiega che ha voluto mantenere l’idea e l’impostazione data dal padre: coltivare solo uve Sangiovese Canaiolo e Colorino. Ci dirigiamo verso la cantina e, mentre camminiamo, mi racconta che anche nella vinificazione a mantenuto l’impronta paterna, quindi l’uva viene raccolta a mano e successivamente fatta fermentare in vasche di cemento vetrificato, senza controllo della temperatura ed effettuando due rimontaggi giornalieri per tenere bagnato il cappello delle vinacce. In questo modo si ottiene un’estrazione lenta dei tannini dalle bucce.
Dopo la svinatura, il vino svolge la fermentazione malolattica sempre in vasche di cemento vetrificato. A malolattica conclusa, i vini riposano in botti di legno per un periodo di circa due anni. Per l’invecchiamento utilizzano botti di rovere di Slavonia, di Allier con capacità da 5,5 a 18 ettolitri e di barriques di Allier da 225 litri. I vini non vengono mai filtrati e l’imbottigliamento avviene per caduta.

Nel tempo in cui chiacchieriamo, passiamo vicino a una porta, tutto è buio e così mi sorge spontaneo domandargli quale tesoro si nasconda lì dentro. Apre la porta, accende la luce ed ecco in tutto il suo splendore la library di Montevertine. È emozionante vedere questi piccoli scaffali che racchiudono in bottiglie impolverate la storia di un’azienda, la tradizione di un territorio e il suo lavoro lungo anni e quello del papà. Ci sediamo e incominciamo ad assaggiare i vini.
Li conosco, li ho bevuti e assaggiati tante volte, ma assaporarli nel luogo in cui vengono prodotti e raccontati con amore da chi li produce, è molto diverso. Un differente sentire e percepire che fa nascere emozioni vive e vibranti, perché per me degustare significa assaporare, gustare, condividere e conoscere il racconto umano che c’è dietro un bicchiere di vino. Una storia ricca di ricordi, fatiche, sogni, passione, forza.

Vorrei rimanere ancora un po’ a parlare con Martino con cui, negli anni, ho instaurato un rapporto di amicizia che va oltre all’aspetto commerciale, ma il mio viaggio continua…..

Monteraponi

……. Dopo pochi chilometri arrivo da Monteraponi dove trovo Diana, Michele e il loro cane, tutti pronti ad accogliermi.
Una splendida vista si staglia davanti ai miei occhi tanto da rimanere basito, 200 ettari di terreno disposti ad anfiteatro, 12 ettari di vigneto e 8 di ulivo, il rimanente bosco. Un affascinante borgo medievale appartenente al Conte Ugo Monteraponi, posto in mezzo alla natura dove potersi rigenerare.
Chiacchieriamo un po’ sempre avendo come visuale quel panorama che turba per la sua bellezza. Michele mi racconta l’importanza dei venti che soffiano da nord, del bosco di querce e di castagni secolari che circondano l’azienda. A un certo punto noto un vigneto in una posizione più in alto rispetto agli altri, incuriosito chiedo informazioni e Michele che, sorridendo, mi racconta fa parte di un nuovo progetto. Lì nascerà un nuovo vino un solo cru di Sangiovese.
Poi entriamo nella cantina, una bella struttura architettonica a volta unica; siamo circondati da vasche di cemento e grandi botti dove il vino riposa. Chiedo se è possibile fare degli assaggi direttamente dalle botti, Michele mi risponde di sì e gli occhi mi si illuminano. Gusterò i vini ancora in evoluzione e trasformazione, quindi prima che vengano messi in bottiglia. Dopo la cantina ci spostiamo nella vera e propria sala degustazione, dove riassaggiamo i vini già imbottigliati e pronti per il consumatore finale.

Purtroppo, anche questa visita è finita, mi sarebbe piaciuto rimanere da loro ma il viaggio deve continuare……

Castello di Monsanto
……….. Mi dirigo verso il Castello di Monsanto che è la storia del Chianti Classico.

Da tempo avevo promesso a Laura di andare a trovarla e finalmente ci sono riuscito. Nella sua cantina settecentesca, dove si rispira un fascino senza tempo, riposano tesori che raccontano la passione e il lavoro di una famiglia, ma soprattutto narrano del Chianti Classico racchiuso in bottiglie degli anni Sessanta.
Appena arrivato in azienda andiamo in vigna e subito Laura mi spiega quanto sia importante il terreno e le caratteristiche climatiche, quel terroir è ricco di galestro che dona ai vini un timbro inconfondibile, vibrante, longevo. I venti del Maestrale arrivano dal Tirreno e mitigano i freddi invernali e i caldi estivi dando sollievo alle vigne, questo permette al Sangiovese di maturare lentamente e in maniera omogenea. Inoltre, la loro oasi di verde fa in modo ci creare il giusto equilibrio biologico indispensabile per le viti.
Saliamo sulla torretta del Castello e ci godiamo la veduta delle vigne dall’alto e, mentre sorseggiamo un buon bicchiere di Chardonnay Fabrizio Bianchi, ascolto il racconto della storia e della filosofia del Castello: “Castello di Monsanto nasce da un’intuizione divenuta subito un pensiero e una visione che ancora oggi ispira e sostanzia un lavoro coraggioso, ambizioso, rivoluzionario. Una pratica sempre sospesa fra il rispetto della tradizione e la vocazione a riscriverla”.

Aldo Bianchi, che già conosceva la Toscana perché viveva a San Gimignano, decide di tornare con il figlio Fabrizio in Toscana per prendere parte a un matrimonio di amici. Vedono Castello di Monsanto e se ne innamorano. Da lì a qualche mese acquistano la tenuta.
Fabrizio grazie alla passione per il vino, tramandatagli dalla mamma piemontese e a un innato spirito imprenditoriale, comprende fin da subito il valore del terroir di Monsanto e, insieme all’infaticabile moglie Giuliana, incomincia a piantare nuove vigne e a ristrutturare i numerosi casali della tenuta, intuendo che avrebbe potuto fare un grande vino. Fabrizio decide, nel 1962, di vinificare separatamente le uve di un singolo vigneto, è così che nasce Il Poggio.

Nel 1974 nasce il Fabrizio Bianchi Sangioveto Grosso da solo Sangiovese, le sperimentazioni per un grande vino bianco all’altezza dell’azienda con uve Chardonnay. Nel 1981 è pronta la nuova cantina e Nemo, un nuovo vino con uve Cabernet Sauvignon. Nel 1986 una nuova sfida con l’aiuto di Mario Secci, Giotto Cicionesi e Romolo Bartalesi che già lavorano in azienda da diversi anni: realizzare a mano 300 metri di galleria sotterranea per lo stoccaggio dei fusti di legno, utilizzando solo pietre di galestro di risulta dagli scassi dei vigneti, con la tecnica medievale delle centine in legno per dar forma a un lunghissimo e suggestivo arco etrusco ribassato. Finalmente nel 1992 la cantina è definitivamente pronta.
“È La costante ricerca della qualità e la costante sperimentazione di nuove modalità di lavoro che fa in modo che il terroir si esprima al meglio nelle sue molteplici vocazioni e proprietà” – e aggiunge – “Bisogna però rimanere sempre legati alla tradizione e ai propri valori: coraggio, ambizione, rispetto, pazienza, costanza, identità e riconoscibilità. Questa è la filosofia di Castello di Monsanto”.

Si è fatto tardi così torniamo al Castello e ceno con Laura e la sua famiglia. Ecco sono davanti a uno splendido tavolo adornato di buon cibo e buon vino e, tra un assaggio e l’altro, spiccano e rimangono impressi nella mia memoria: Il Poggio 1999 e il 1985. Il 1999 è un vino profondo, ricco di sentori dolci, di tabacco, di spezie e amarene sotto spirito, con un buon corpo e una lunga persistenza.

Andiamo a riposare e l’indomani facciamo un giro in azienda e nelle cantine dove sono custoditi i gioielli e la storia non solo del Castello di Monsanto, ma anche del Chianti Classico. Percorrendo i lunghi corridoi, rimango stupito perché penso alla loro intuizione di conservare centinaia di bottiglie per ogni annata. Prima di terminare il giro, passiamo davanti alla cantina dove viene prodotto il Vinsanto, Laura mi racconta che questo vino viene fatto ancora come lo si faceva una volta, composto da uve Trebbiano toscano e Malvasia di Candia. Dopo la raccolta dei grappoli, l’uva viene portata nella cantina di appassimento dove soggiorna fino a fine gennaio. Successivamente viene pigiata l’uva appassita e non appena parte la fermentazione viene messa in caratelli da 55 e 110 litri dove inizierà il suo lento lavoro di trasformazione lungo circa 12 anni.

Dopo aver visitato questa ultima parte, mi preparo a tornare a Milano e già provo nostalgia per questa terra che è un vero e proprio microcosmo. Sono ormai in città, lontano da quella realtà così ricca di storia la cui trama è l’intreccio tra uomo e Natura. Racconti da condividere con i miei clienti.